Perché vado in Repubblica Democratica del Congo?

04/04/2022

…e perché no? Popolazione meravigliosa, paesaggi suggestivi, un modo diverso, più semplice, lento e “alternativo” di vivere…

“Ma non vai perché hanno bisogno del nostro aiuto?”, mi si dirà.

Certamente, ma vado in Congo con i miei amici italiani di SFERA onlus, per quel che c’è, non per quel che manca.

In missione ho trovato un’altra dimensione della realtà: più vera, più reale, più significativa.

Ogni volta ci si arricchisce, si fanno nuove esperienze, soprattutto interiori, si stabiliscono nuove relazioni più forti, si percepisce diversamente ed intensamente il flusso dell’esistenza.

Proprio dove manca quel che manca, c’è quel che c’è.

Noi non siamo gli uomini bianchi più evoluti e ricchi, che poiché buoni di cuore, commiserano i fratelli neri perché bisognosi. Entriamo in Congo in silenzio e in ascolto, molto abbiamo da accogliere ed imparare, molto da ricevere perché i poveri sono spesso più generosi e profondi. Molto abbiamo da condividere e da costruire insieme per un vero riscatto che veda chi ha più bisogno come autentico protagonista.

Tocchiamo con mano le ferite di cinque secoli di vessazioni dove i “mundele”, cioè i bianchi, non hanno sempre fatto buone cose e bella figura, se non in rare eccezioni. Ciò purtroppo si perpetra anche ora…

In questi momenti di pandemia, di sbarchi dall’Africa che si protraggono con morti annunciate e ripetute, con guerre come sempre assurde e foriere di odio e atrocità perché…non andare in Congo?

Ormai abbiamo rovesciato il mondo, cioè consideriamo il male ovvio e il bene eccezionale. Siamo alienati, è ora di ripristinare il principio di normalità.

Lavorare in R.D. Congo per aprire e far funzionare scuole (n.d.r.  per quest’anno tutta la popolazione congolese è priva di attività scolastica perché i docenti non sono pagati dallo Stato), per creare formazione professionale e dare un futuro alle giovani generazioni è d’obbligo; è restituire, ripristinare un minimo di principio di equità e di diritti riconosciuti.

Così ci aspettano i nostri amici fratelli neri che ci accolgono per quel che siamo e non per quel che portiamo e altrettanto ci attendiamo da loro.

Un incontro nel rispetto e nella solidarietà, uno scambio di ricchezze reciproche, un momento di grazia.

Il bene è difficile, ma è possibile e necessario. È la profezia di un mondo migliore al quale ciascuno di noi può e deve dare il suo apporto. È il bene che passa da noi e che non chiediamo agli altri di fare per noi. È un bene che ci viene donato perché è un dono che viene dall’Alto, la grande opportunità di vivere da fratelli su questa terra di tutti, dove nessuno può vantare privilegi perché tutti siamo migliori.

La cosa che mi sconcerta sempre positivamente in questi 13 anni di impegno in Congo, ormai all’ottava spedizione per me, è il tempo che gli amici congolesi mi chiedono di investire per essere in relazione con loro. 

Un dono può essere utile, magari anche necessario, ma è l’amore con cui e per cui si dà che conferisce senso e valore al gesto. 

Non a caso anche papa Francesco sarà in R. D. Congo dal  2 al 5 luglio prossimi, non la penserà magari anche Lui come noi?

Gianni Nicolì

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